IL LAVORO CAMBIA: QUANTI SE NE ACCORGONO ?

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Il lavoro intellettuale prevale sul manuale; non è più collegato ad una scrivania ma ad una connessione; nel lavoro si tende a vendere il risultato prima del tempo: quanti se ne accorgono ? ecco ciò che ho pubblicato sull’argomento.

È lecito insistere sul contratto subordinato come unica forma di lavoro ? È lecito pretendere che imprese obsolete e bare economiche rimangano in vita solo per garantire posti di lavoro (si badi bene ho detto posti e non lavoro) ? È giusto non accorgersi del cambiamento ? Il sindacato si attrezza al cambiamento ? Lo stato si assume la responsabilità di governare il processo ? Altre mille domande !
Un tempo erano i negozi di vicinato e la GDO ne ha fatto deserto, oggi la GDO è un morto che cammina; i millennials acquistano al 50% su Internet.
Un supermercato chiude: che si fa ? Scioperi e lotta di classe ! Non deve chiudere. Condivisibile che i lavoratori difendano la propria occupazione; ma si può scioperare contro l’ineluttabile ? Scioperano contro la globalizzazione che vende su Internet ?
Lo Stato latita, il sindacato ? Il sindacato è attento ed attrezzato al cambiamento ? O conserva soluzioni di lotta arcaiche di mezzo secolo ?

La disoccupazione giovanile è alta: siamo sicuri che ciò dipenda dalla mancanza di offerta con riferimento alla qualità della manodopera disoccupata o non piuttosto da un difetto di competenza (skill) di quest’ultima ?
Spesso l’offerta non è adeguata alla domanda; c’è da chiedersi se i giovani hanno scelto il percorso scolastico adeguato: a loro direi: il futuro è nel Tuo passato.
Sono sconcertato di fronte a giovani di 15 anni o 20 anni che abbandonano gli studi perché “intanto non servono a niente”. Quanti di questi giovani finiscono triturati in lavori che vent’anni dopo svaniscono e non riescono a riciclarsi in altri ambiti per difetti intellettuali e culturali ?

Il lavoro tempo fa era frutto dell’operosità delle mani più che dell’intelletto; il numero di operai sovrastava quello di impiegati; oggi la tendenza è invertita e la crescita del lavoro intellettuale è sempre più marcata.
Il lavoro intellettuale era legato ad un concetto di scrivania oggi è legato ad un concetto di connessione e strumenti tecnologici; ciò significa che posso lavorare in ogni dove, purché vi sia una connessione.
Ne deriva una evanescenza di concetti materiali come l’ufficio inteso nel senso di spazio e poiché sempre più persone non acquistano oggetti (strumenti di lavoro) ma li usano con contratti, formule e sistemi più o meno sofisticati (ed altri che dobbiamo ancora vedere) si afferma di conseguenza che sempre più persone utilizzano qualsiasi spazio per il proprio momentaneo lavoro.

Ciò comporta anche che un paradigma fondamentale “il tempo che il lavoratore vende al datore di lavoro” diviene concetto volatile e non vi è né la possibilità, né l’interesse a misurarlo; logica conseguenza è che anche il concetto di remunerazione è inesorabilmente travolto cui si deve traghettare da una tariffa connessa al tempo ad un compenso per il risultato.
Questa nuova visione del lavoro genera altre mutazioni: si passa da una divisione icastica tra tempo di lavoro e tempo libero ad un nuovo paradigma in cui il lavoro è comunque indipendente, deve produrre risultati a prescindere da come la persona occupa il proprio tempo.
È un principio di sgretolamento del totem “lavoro subordinato”: non è il ritorno del popolo delle partite IVA, ma una nuova classe di collaboratori indipendenti che governa il proprio rapporto con delle apposite APP e magari con l’aiuto dell’Internet of Things; non avremo voucher ma ticket con QR code e monete elettroniche.

Lo stato, il sindacato e gli altri stakeholder nell’ambito del lavoro: che fanno ? si stanno accorgendo ? si stanno attrezzando ?
A giudicare dagli strumenti che emanano per gestire il lavoro ed il welfare, paiono inadeguati.
Marco Savio

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